Angelo Destasio: una carriera di sogni e di sfide

Il Sud del mondo gli è sempre appartenuto. Per destino o per scelta. Dal quartiere Cappuccini di Catania (dove Angelo Destasio è nato e cresciuto) all’Africa nera del Camerun (dove adesso guida un’associazione umanitaria), passando per le spiagge dell’India e gli altipiani del Perù. Latitudini, scenari e colori diversi; immutati lo spirito, la voglia di superare le difficoltà e di sorridere alla vita. La sua carriera di cestista – in fondo – non è stata che un lungo episodio di un’avventura che non è ancora finita.

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GIOVANISSIMO. Un quindicenne Angelo Destasio, esordiente nel Gad Etna 1977-78 [E.Privitera]

La posta elettronica è il mezzo più sicuro (ed economico) per raggiungerlo; chissà in quale parte del globo si trova in quel momento… Se gli tocchi il tasto dei ricordi, lui si accende e rivive emozioni. Stavolta gli prende anche un nodo in gola, perchè è stato appena informato di un magazine-web che parla esclusivamente del basket catanese e della propria storia. «E’ veramente commovente il sito che mi hai indicato, ti rivengono in mente tante belle vicende che io porto sempre nel mio cuore…». Avrà anche letto del sondaggio che – conti alla mano – lo vede finora in testa nella classifica dei migliori cestisti catanesi di tutti i tempi, ma qui si schermisce e non lascia trapelare alcuna reazione.

Angelo appartiene alla storia degli anni ’70 (fine anni ’70). Un capitolo breve ma intenso; perché lui come giocatore non venne fuori, esplose! Dal campetto dei Salesiani di Cibali (dove Camillo Sgroi gli diceva che il palleggio andava fatto in questa maniera e il terzo tempo in quest’altra) alle sue esibizioni sul parquet del Palazzetto di Piazza Spedini, il salto era stato quasi impercettibile. Madre natura gli aveva dato tutto del giocatore di basket: gambe snodabili, braccia lunghe, una innata facilità di apprendere la tecnica di gioco; dentro, poi, aveva quella irridente forza di affrontare gli ostacoli alla quale si è accennato.

«Abitavo in Via Plebiscito vicino la chiesa dei Cappuccini, in un rione difficile dove allora vi era una guerra di mafia e la sera sembrava ci fosse il coprifuoco. Fare il passo della malavita – confessa – sarebbe stato un attimo per me…». Preferì l’oratorio alla banda di quartiere, il gioco per puro divertimento a quello per un facile guadagno. Una scelta fondata su dei principi che ancora oggi sorreggono la sua vita e il suo impegno sociale. «La rabbia e la voglia di fuggire da certi ambienti trovarono nello sport uno sfogo e una via d’uscita. Adesso mi batto affinché tanti ragazzi africani possano avere la stessa opportunità che ho avuto io…».

Il PGS Sales gli regalò la prima maglietta di gioco e la soddisfazione di entrare a far parte di una squadra. Che non era proprio una squadretta così, tanto per passare il tempo, perché in quegli anni Camillo Sgroi (istruttore serio e modesto) aveva finalmente raccolto il frutto del suo silenzioso impegno, conquistando ben due finali nazionali giovanili. «Mi ritrovai subito in un bell’ambiente, assieme a compagni un po’ più grandi di me, come Saretto Mugavero, Riccardo Cantone, Alberto Calì, Giuseppe Nicolosi, Salvo Piripinzi Sgroi… Furono i miei primi modelli da imitare».

Fortuna e successo segnarono i primi passi di Destasio giocatore, come se tutto dovesse scaturire in maniera semplice e naturale, senza il minimo sforzo. In realtà la sua crescita era anche il risultato delle ore trascorse sul campetto al di là di allenamenti o partite ufficiali. «Anche nei lunghi pomeriggi d’estate ero sempre ai Salesiani a giocare. Mi capitava di fare playground con i grandi dell’epoca, come Pippo Famoso, Orazio Strazzeri, Pippo Borzì… Oppure me ne stavo là, col pallone in mano, a tirare o a fare ball handling: qui devo dire che ho avuto la fortuna di trovare in Pippo Strazzeri un’altra guida preziosa, che sapeva darmi i consigli e gli stimoli giusti; a volte, addirittura, mi portava al boschetto della Playa per fare atletica».

Quando Angelo esordì in serie C col Gad Etna-Jagermeister, nel ’77 (a soli 15 anni), si capì subito che in quel ragazzino dinoccolato c’era del talento. Vederlo emergere, partita dopo partita, era per tutti una piacevole conferma più che una sorpresa. Alla corte di Enzo Molino, un allenatore che quando c’era da dare fiducia a un giovane non si tirava mai indietro, si potevano anche bruciare le tappe. Da promessa a protagonista, in effetti, il passo fu brevissimo.

Destasio si faceva notare perché – probabilmente – a Catania non si erano mai visti giocatori così completi come lui, diciamo pure moderno per certi aspetti. Divenne una guardia-ala molto versatile, che con i suoi 197 cm di altezza sapeva adattarsi a vari ruoli, abilissimo sia nella costruzione del gioco che nella sua finalizzazione. Aveva un buon tiro, ma i suoi pezzi forti erano gli assist e le entrate a canestro. Ottimo come difensore, nella ragnatela delle sue braccia se ne arrestavano tanti di palloni. Il tutto sorretto da un fisico che – lo abbiamo già sottolineato – sembrava fatto apposta per il basket; quando mise un po’ di muscoli su quelle sue gambe ossute, cominciò a schiacciare a canestro che era un piacere vederlo.

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STERZATA? Il Gad Etna 1979-80, vicinissimo alla promozione in Serie B [E.Privitera].

Angelo capì che il basket, dopo averlo strappato alla strada e salvato da chissà quale percorso, gli stava offrendo un’altra grande opportunità: quello di un possibile sbocco professionale. Su quel treno bisognava salire subito, non fosse altro che per le modeste risorse economiche della famiglia: il padre lavorava come portinaio all’ospedale Garibaldi e aveva 7 figli da tirare su (Angelo era proprio il settimo)… Il divertimento di giocare e di stare in palestra, a quel punto, cominciò a trasformarsi in un preciso impegno.

Con lo Jagermeister disputò tre stagioni in serie C e altrettante finali nazionali giovanili (una “cadetti” e due “juniores”), con un rendimento in continua ascesa. Assieme a Santino La Fauci e a Giuseppe Nicolosi formava un terzetto di belle speranze, che molte società ci invidiavano, in Sicilia e non solo. Nella stagione ’79-’80, i tempi sembravano maturi per il salto in serie B (quella di allora!) che avrebbe potuto dare una sterzata decisiva al basket catanese. «Quasi riuscivamo nell’impresa: non eravamo proprio tra i favoriti, ma la nostra era una squadra molto unita, con un capitano come Gianni Messina che era un vero guerriero e ci incoraggiava sempre, sia con le buone che con le cattive… Alla fine ci è mancato forse un pizzico di esperienza».

Fu quello però, per Angelo, l’anno della definitiva consacrazione. Alla finale nazionale juniores di Capo d’Orlando venne eletto come miglior giocatore; intanto, Vittorio Tracuzzi lo aveva già chiamato per qualche raduno con la Nazionale juniores, dove avrebbe poi fatto qualche apparizione, a fianco di giocatori del calibro di Antonello Riva, Walter Magnifico, Alessandro Fantozzi. Andò a finire com’era logico e giusto che fosse: arrivò la richiesta di un grosso club, e addio Catania!

A chiamarlo fu – nientemeno – che la Virtus Bologna (allora sponsorizzata Sinudyne), che però lo girò subito alla Ferrarelle Rieti, società di altrettanta rinomata tradizione cestistica. «Me la cavai… Nella prima stagione, in A1, giocai in totale 300 minuti, sotto la guida di un allenatore americano, Klimkowski; provai anche l’esperienza internazionale, disputando la Coppa Korac. Mi vengono ancora i brividi a pensare che mi trovavo al fianco di grandi campioni come Roberto Brunamonti o Willy Sojourner…».

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ZIO WILLY. Willie Sojourner (1948-2005), uno dei più grandi americani transitati dal campionato italiano [it.Wikipedia, P.D.]

E qui c’è una doverosa parentesi da aprire. Sojuorner era un coloured di Filadelfia, sbarcato in Italia nel 1976; pivot di appena (si fa per dire) 2 e 05, guadagnò subito la stima di tutti per tecnica e temperamento, divenendo ben presto l’indiscusso leader della squadra. Restò a Rieti per sei stagioni, protagonista tra l’altro della grande conquista della Coppa Korac nel 1980. Per tutti era lo “zio Willy”, una sorta di leggenda vivente. Angelo lo ricorda così: «E’ la persona più splendida che abbia mai incontrato. Al mio primo anno di Rieti lui era in Italia senza la famiglia e praticamente mi adottò. Grande giocatore, gancio destro e sinistro, ma soprattutto un carisma unico, tanto che quando andavamo in trasferta, lui era l’unico a ricevere applausi da parte del pubblico di casa…».

Una volta appese le scarpette al chiodo, Sojourner fu richiamato più volte dalla società reatina per rivestire ruoli dirigenziali. Un amaro destino, purtroppo, lo attendeva un giorno di ottobre del 2005 (era da poco rientrato in Italia) quando perse la vita in un incidente stradale. A Rieti, da allora, il Palazzetto dello Sport divenne PalaSojuorner; mentre il «nipotino» Destasio, nel 2007, gli ha intitolato la sua associazione che opera in Camerun, utilizzando proprio lo sport come strumento a favore dei giovani: Sport for Africa “Willy Sojourner”.

Chiusa parentesi, torniamo alla carriera cestistica di Angelo. Dopo due stagioni a Rieti, era giunto il momento che si rifacesse viva la società proprietaria del cartellino. Sentiamo come andarono le cose: «Squillò il telefono in un pomeriggio infuocato. Era il burbero avvocato Porelli, manager tuttofare della Sinudyne, che mi sollecitava a tenermi pronto perchè il prof. Nikolic voleva vedermi: nella gloriosa Virtus, che era da rifondare, poteva esserci un piccolo spazio per me… Il grande appuntamento, però, sfumò appena una settimana dopo: durante una amichevole di Summer League contro il Brindisi, in uno scontro di gioco, menisco e crociato del mio ginocchio destro fecero crack…».

Non fu la fine della sua carriera, ma di un grande sogno sì. L’infortunio, in qualche modo, ridimensionò le sue capacità fisiche e atletiche; l’olimpo del basket nazionale gli fu irrimediabilmente precluso. «Ripresi la carriera a Trapani, in serie B, con il presidente Garraffa che mi volle a tutti i costi: passai comunque degli anni stupendi, divenni capitano della squadra, e credo di avere lasciato anche là una traccia importante…». Cinque stagioni a Trapani, poi fu la volta di Marsala, dove riuscì a centrare il traguardo di una promozione, dalla B2 alla B1. Infine Comiso in B2 (siamo già nel 1990), quando si ritrovò come allenatore Riccardo Cantone, uno dei suoi primi compagni di squadra col PGS Sales. «Avevo ancora tanta voglia di giocare, ma il ginocchio faceva sempre più male, e così a 27 anni decisi di smettere…».

Si chiudeva un capitolo, l’avventura continuava. Per un po’ Angelo ci provò a fare una vita «normale», lavorando in cartoleria assieme al fratello, ma era come se gli mancasse l’aria. Il basket, evidentemente, non aveva ancora soddisfatto la sua voglia di lottare, di vagabondare alla ricerca di nuovi stimoli e di nuove esperienze.

Fu prima attirato dalle spiagge di Goa in India, terra dei «figli dei fiori», al punto da decidere di stabilirsi laggiù: aveva in mente di mettere su un bed & breakfast, sennonché lo tsunami spazzò via progetto e speranze. Allora cambiò rotta e prese la strada del Sudamerica, soggiornando a lungo sugli altipiani delle Ande, in Perù e in Bolivia: fu qui che si avvicinò al volontariato, maturando un’esperienza che lui definisce «incredibile» e che sicuramente ha segnato una svolta nella sua vita.

Da qualche anno, per Angelo, il Sud del mondo si trova in Camerun, nell’Africa centro-occidentale, e la battaglia da portare avanti è quella a difesa dei tanti ragazzi che, vivendo nella povertà e nel degrado, rischiano ogni giorno di essere vittime dell’abbandono o dello sfruttamento. Pensare allo sport come a una possibile àncora di salvezza è stato un po’ come rivivere il proprio passato e metterlo a servizio del prossimo. «Vi è un’età della vita – ammonisce – in cui bisogna giocare e non diventare subito adulti. Con la nostra associazione, io e la mia compagna Francoise lottiamo per questo. “Right to play” è il nostro slogan, proprio perché tutti i ragazzi, in qualsiasi parte si trovino e in qualsiasi condizione, devono avere diritto a giocare e quindi a crescere nella maniera più sana possibile…».

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OGGI. Angelo Destasio trent’anni dopo, in Camerun [WillySojourner.org]

Sport for Africa è una vera e propria missione, sostenuta soltanto da una grande volontà e da un forte spirito di altruismo. «La scarsità di fondi ci ha permesso soltanto di fare piccole azioni, per lo più grazie ad autofinanziamenti, ma presto diventeremo una ONLUS (organizzazione non lucrativa di utilità sociale): questo ci aiuterà a farci conoscere e speriamo anche a disporre di maggiori risorse». Uno dei primi obiettivi sarà quello di completare in tutte le sezioni già previste il sito dell’associazione, di cui al momento è visitabile solo la home page. Intanto, via e-mail, Angelo ci ha fatto pervenire una foto che lo ritrae (qualche capello bianco, ma il sorriso di sempre) abbracciato a un bambino di colore sicuramente bisognoso di aiuto: un’immagine che esprime da sola il significato e la gioia di certe iniziative.

A 46 anni – li ha appena compiuti lo scorso 17 settembre – Angelo guarda alla vita ancora con l’entusiasmo e la spontaneità di un ragazzino. Tutte le esperienze maturate, compresa quella di essere diventato nonno (di Riccardo), gli sono servite solo a ripartire sempre verso nuovi traguardi, anche a costo di ricominciare tutto da zero. Del passato non ha cancellato nulla, men che meno di quello cestistico, che gli ha regalato anni indimenticabili: «Sono sempre vive, in me, le circostanze, i valori, le emozioni, le amicizie… Che bello sarebbe rincontrarsi tutti un giorno, magari all’interno di un Palazzetto dello Sport a Catania, per disputare un’amichevole di vecchie glorie, diciamo pure una nostra “partita del cuore”…».

Un sogno, come tutti quelli che lo hanno finora ispirato e guidato. Chissà che non si avveri anche questo!

Nunzio Spina

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