Una porta per i forestieri

Eretta nel 1768 e costituita da un arco trionfale (entrambi progetto dell’architetto Stefano Ittar in commemorazione delle nozze del re Ferdinando IV di Borbone con Maria Carolina d’Austria) la Porta Ferdinandea è, tra i monumenti simbolo della nostra città, uno di quelli che sta maggiormente a cuore ai catanesi, che da secoli ormai la chiamano familiarmente, ma erroneamente, “U’ furtinu”, associandola al ricordo del precedente fortino del duca di Ligne di cui rimane solo una porta nella limitrofa via Sacchero.

La Porta, posta tra le piazze Palestro e Crocifisso, sorge alla fine di via Garibaldi, tant’è che, quando la dominazione borbonica cessò, fu ribattezzata Porta Garibaldi. Il monumento faceva parte di uno dei pochi tentativi mal riuscito di organizzare l’area urbana secondo un progetto articolato e scenografico allo stesso tempo. Il disegno originale, infatti, prevedeva la realizzazione di due piazze simmetriche con un tridente di strade che convergevano verso la porta e vari edifici, anch’essi simmetrici, posti lateralmente. La Porta doveva chiudere un disegno architettonico che iniziava in piazza Duomo, proseguiva lungo via Garibaldi, nella quale si incastonava la gemma quadrata di piazza Mazzini, e trovava il culmine, dopo un lungo percorso rettilineo, in uno ampio slargo che si offriva come scenografico abbraccio rivolto verso le campagne e verso i forestieri provenienti da Palermo o dalle altre parti dell’isola. La Porta è certamente l’esempio di uno stile fatto d’effetti scultorei, lampi vibranti di luce e ombre, contrasti di materie differenti combinati in ordinate alchimie. Al fascino strutturale si somma quello psicologico e simbolico legato all’idea di “porta”, come di un elemento che vive di vita propria, del tutto slegato da un muro divisorio: un confine o un argine.

Tale sensazione è sempre presente, sebbene oggi la piazza e i luoghi adiacenti siano ben diversi da quelli originari e dell’idea iniziale siano rimasti, oltre a questo monumento, soltanto due palazzi gemelli posti lateralmente su via Garibaldi (altri edifici minori collegati lateralmente alla Porta furono demoliti negli anni trenta). La Porta, la cui peculiarità è la bicromia del rivestimento realizzato alternativamente a strisce di pietra lavica e strisce di pietra bianca, è un tipico esempio d’arredo urbano formato da due prospetti raccordati sui fianchi da elementi simmetrici. Il prospetto verso la città si articola in tre settori verticali: due laterali, costituiti da nicchioni affiancati da colonne poste su un alto basamento lavico, e uno centrale, che ospita il fornice arcuato e si eleva sugli altri due raccordandovisi con volute classiche e pignoni. Due lesene (pilastri ornamentali) affiancano l’arco alla cui chiave è posto un mascherone calcareo. Nella parte superiore, all’interno di un timpano semicircolare, si trova un medaglione ovale sovrastato da una cornice che racchiude un’aquila borbonica. Sul fastigio, dove originariamente erano collocati un medaglione con i ritratti dei due sovrani e un’iscrizione dedicatoria barbaramente cancellata come gesto d’odio verso i Borbonici, svettano oggi un orologio e una campana. Il prospetto verso piazza Palestro, sebbene di maggiori dimensioni, è anch’esso tripartito. Agli estremi gruppi scultorei concludono complesse lesene poste su basamento lavico che si raccordano in semicerchio aperto ad un’analoga coppia che affianca il fornice centrale.

La Porta Ferdinandea

L’arco è chiuso da un mascherone, mentre lungo un cornicione rettilineo si collocano altri gruppi scultorei, un secondo orologio e la lapide con l’anno di realizzazione. Certamente il complesso in cui è immersa la Porta Ferdinandea può apparire allo sguardo moderno come una delle tante inquietanti contraddizioni dell’impianto urbano catanese: al centro il maestoso monumento carico di simboli, allegorie e fastigi preziosi, intorno una moltitudine di case basse e alte, palazzi moderni e antichi, negozi e strade. Tuttavia permane la certezza che “ U’ furtinu” è per i catanesi uno dei luoghi più suggestivi della città, anche solo per il fatto che, mettendosi ai suoi piedi, si riesce a scorgere lontana e armoniosa la maestosa Cattedrale dedicata alla nostra Patrona.

Giuseppe Lazzaro
da Corriodio #2, febbraio/marzo 2004

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